martedì 12 maggio 2009

Lo Stardust Village, Medusa e la distribuzione cinematografica

Vi avevo accennato qualcosa sulla società di produzione e distribuzione cinematografica Medusa nel precedente post su Sbirri. Oggi voglio proporvi qualche esempio su come questa società determina ciò che voi vedrete o non vedrete al cinema.

Mi asterrò da discorsi sui massimi sistemi, vi faccio solo ragionare su casi concreti. Il primo lo trovate nell’immagine qui sopra. E’ la programmazione attuale dello Stardust Village, cinema multisala nel quartiere Torrino di Roma. Premetto che ho scelto questo cinema anche perché non ho visto nessuno dei film in programmazione (e non ne vado affatto fiero, anzi…) Però così è chiaro che non ce l’ho con questa o quell’altra pellicola, ma con uno strano meccanismo che porta i gestori delle sale a scegliere i film che proiettano.


Forse pochi sanno, infatti, che la scelta non è poi così autonoma. La stragrande maggioranza delle sale dipendono direttamente da una o dall’altra società (su come funziona questa dipendenza spero di tornare in un post futuro). Nel sito dello Stardust, ad esempio, si legge: "Lo Stardust Village ha scelto per la programmazione l'esperienza e la professionalità di MEDUSA Cinema, che come noi ha un'idea di cinema inteso come crescita culturale."


Quindi, chi gestisce lo Stardust si troverà per forza di cose a scegliere un film non tanto perché migliore di un altro, ma perché appartenente ad una società o meno. Inoltre, i film vengono spesso venduti a pacchetti. Se vuoi il nuovo Batman ti devi beccare anche Moccia. Se vuoi Spielberg, ti becchi la commedia adolescenziale. Ed ecco che una manciata di film viene spalmata su centinaia di sale, con la cara vecchia logica dell’occupazione di tutti gli spazi. Non importa se metà delle sale restano vuote, basta che si impedisca ad altri di partecipare al gioco.

I risultati sono abbastanza divertenti. Intanto, in questo nostro "libero" mercato, se fossi il gestore di una sala e trovassi un film artisticamente eccellente, ed economicamente conveniente, non è detto lo acquisterei. Se invece fossi un alieno ed atterrassi sopra lo Stardust, dando un’occhiata al cartellone dovrei concludere che in Africa, Australia, America Latina e nel resto dell’Europa non si produce neanche un film. Interi generi, come il documentario, sono perle rare da cercare in fondo all’oceano. E moltissime pellicole (alcune prodotte con il contributo dello Stato, e quindi pagate da tutti!) non raggiungono mai la sala.

Per fortuna qualcuno si organizza: voglio chiudere con una manciata di suggerimenti, segnalando chi non sta con le mani in mano e con molta fantasia ci fa vedere il lato invisibile del cinema (molto spesso gratis o ad un prezzo più basso dei circuiti tradizionali). FilmSpray è una rassegna cinematografica di film invisibili; SelfCinema è un’associazione che "adotta" i film, facendo acquistare il biglietto prima che questi arrivino in sala, e quindi pagando da sé la distribuzione. Infine, un interessante articolo su dove possiamo trovare i film non distribuiti in Italia, anche grazie ad internet.

Valerio

lunedì 4 maggio 2009

Coreingrapho: In Scroll We Trust


Odio i fumetti sul web.
Chiunque ama i fumetti sa che il piacere che se ne trae non è solo nella semplice lettura. E’ anche il piacere fisico e un po’ feticista di toccare le pagine, saggiarne la ruvidezza con le dita, ascoltarne il fruscio, affondare il naso tra le pieghe e odorarne colla e inchiostri.

Coreingrapho è un’officina, un laboratorio di fumetti nati e pensati per il web.
E lo adoro.
E’ nato nel gennaio del 2009 per “una passione e un’esigenza”, come si legge nella presentazione del progetto, “passione ed esigenza di fumetto”.
Il blog è un laboratorio aperto a chiunque voglia parteciparvi (e che abbia il talento necessario…).
Non ci sono limiti e tematiche e stili, ma tutti i fumetti lì pubblicati devono obbedire a un’unica regola: devono essere larghi al più 700 pixel. Nessun limite sulla lunghezza.
Basta visitare l’home page e scorrerla, scrollando verso il basso, per rendersi conto di cosa consiste il formato adottato.

Cosa ha di tanto particolare Coreingrapho da avermi fatto superare l’istintivo odio e rigetto per i fumetti letti su un freddo monitor?

Primo: il talento.
Credo di non esagerare nel paragonare l’atmosfera che si respira su Coreingrapho a quella del fumetto d’autore italiano degli anni ’70 e ’80. La cura seria e giocosa con cui sono trattati il disegno, il segno e le parole è naturale figlia delle riviste di quegli anni.

Secondo: il carattere internazionale.
Coreingrapho è nato da un'idea di autori italiani, ma è un'arena aperta che ospita anche autori stranieri: molti fumetti sono presenti in una doppia versione inglese/italiano.

Terzo: il mezzo.
I fumetti di Coreingrapho non mi fanno rimpiangere la carta perché in molti casi, non si tratta semplicemente di buoni fumetti, ma di buoni fumetti pensati esattamente per il web, per il formato particolare dei 700 pixel.
In casi come questo o questo si ha l’impressione di leggere una sorta di fumetto animato, come scorrendo una pellicola in cui la velocità dell’animazione e del succedersi delle scene è scelta dal lettore. Personaggi, frasi, scenari, pause, vuoti e pieni sono pensati per lo scrolling verticale. Le figure entrano nel campo visivo dal basso verso l’alto: è piacevole scoprile a mano a mano, centimetro per centimetro.
Si tratta di una fruizione del tutto peculiare, diversa da quella tipica dei fumetti cartacei. L’uso del mezzo è unico e coerente. Il contenitore influenza il contenuto. Il contenitore è il contenuto.


Forse addirittura si potrebbe parlare di un tipo del tutto nuovo di fumetto.
Un nuovo tipo di fumetto che merita di essere conosciuto.

Alessio

domenica 3 maggio 2009

Rassegna Stampa


Iniziamo questa rassegna stampa telematica con un interessante post trovato sul blog ilserpentedigaleno, specializzato in medicina. Ci racconta come con una spiegabilissima fretta sia iniziata la competizione tra le grandi aziende farmaceutiche per trovare e commercializzare il vaccino contro l'influenza suina. Le malattie sono un affare imperdibile, se da una parte è vero che non si risparmia mai sulla salute, e pur vero che c'è sempre qualcuno che ci guadagna sempre.

In germania a Marco Travaglio è stato consegnato il premio " Libertà di Stampa", conferito dall'associazione dei giornalisti tedeschi. Travaglio è stato premiato "per il suo coraggioso e instancabile impegno per la libertà di stampa in Italia" e "per la sua tenacia nel continuare a criticare anche là dove gli altri hanno rinunciato da tempo". Potete trovare la notizia, che si commenta da sola, sul sito di Micromega.

Interessantissimo l'editoriale dell'ultimo numero dell'internazionale sulla disevoluzione della sinistra italiana, firmata da Perry Aanderson, storico britannico e teorico della new left rewiew.

Notizie (tragiche) relative alla tutela ambientale ci arrivano invece dal blog sostenibile che ci parla del soffocamento del mare di Aral dovuto agli scarichi dell'ex-Urss. Il post si può trovare qui

Per quanto riguarda la sezione internazionale due sono gli articoli da vedere, uno relativo ad un tentativo di colpo di stato in Togo, riportato dalla BBC, mentre El Pais ci parla del caso di Hernando Calvo Ospina, intellettuale colombiano, che si è visto negare il transito nello spazio aereo degli stati uniti perchè non considerata persona desiderata, costringendo il volo, diretto in messico, a deviare fuori dagli States.

Per concludere segnaliamo il post di Terranauta riguardante l'iniziativa dell'Associazione dei Comuni Virtuosi chiamata Porta la Sporta, finalizzata a ridurre sprechi e consumi anche nella spesa quotidiana.

martedì 28 aprile 2009

Environmental protection agency, Ghana

Di Africa si parla poco, e quando se ne parla é sempre male. Di ambiente in Africa si parla ancora meno, e forse una ragione c'é. Non é mia intenzione oggi fare eccezione, non aspettatevi lodi alla natura selvaggia africana. Questo é uno sfogo. E sfogando la mia rabbia spero di darvi qualcosa a cui pensare.


Visitate il sito dell’agenzia per la protezione ambientale del Ghana, EPA, e rimarrete sorpresi. La pagina esiste, il che non è da dare per scontato, ha un aspetto ben professionale ed il contenuto è convincente.


" The Environmental Protection Agency is the leading public body for protecting and improving the environment in Ghana. It's our job to make sure that air, land and water are looked after by everyone in today's society, so that tomorrow's generations inherit a cleaner, healthier world. We have more than 30 years of history behind us. We have offices across Ghana working on and carrying out Government policy, inspecting and regulating businesses and reacting when there is an emergency such as a pollution incident. A 12-member board of directors, appointed by the President of Ghana, supervises our operations. However, the management of our day-to-day operations is directly under an Executive Director and seven divisional heads (Directors) "


In foto qui sotto, Ada Foah: dove le tranquille acque del fiume Volta sfociano nell’oceano Atlantico; basta scendere di un paio di chilometri con la corrente, per vedere uno spettacolo ben diverso (in foto sotto). Un paio di giorni dopo aver scattato la seconda foto mi sono imbattuto nel sito della EPA.















Putroppo – come spesso succede – a belle parole seguono pochi fatti, ed un'occhiata un po’ più attenta sgretola il muro di facciata. Andate nella sezione “publications”, “environmental news” o addirittura “environmental law” e troverete un assaggio del vero Ghana. Le informazioni sono datate od incomplete, se presenti; ma la maggior parte delle sezioni sono in bianco.


Quanto dice un sito internet sull’efficienza di una agenzia? Forse non molto. Può ben essere che gli impiegati della EPA siano troppo impegnati in giro a far rispettare l’ambiente per aggiornare il loro sito. Ma io non credo. La differenza abissale tra la foto sopra – che in ogni caso è molto più pulita di qualunque spiaggia nel raggio di 100 km da Accra - e le belle parole sul sito della EPA mi rende furioso.


Ho un immagine mentale molto chiara di come deve essere il quartier generale della EPA, e di cosa succede durante il “management of our day-to-day operations”; ed è molto simile a ciò che vedo ogni giorno in qualunque altro ufficio amministrativo. E mentre i pubblici impiegati passano le loro oziose giornate dormendo sulle scrivanie, una delle più grandi potenziali fonti di ricchezza del loro Paese soffoca lentamente sotto uno strato di plastica che si fa ogni giorno più spesso..


Plastica... Facciamo un passo indietro, e lasciate che vi porti in un mercato qualunque. Che volete comprare? L’Ananas e delizioso, facciamo uno. La signora lo sbuccia e lo affetta pure, tutto incluso nel prezzo. Che altro? Un pezzo di pane? Bene, e gia siamo a quattro buste di plastica: due trasparenti per l’interno e due nere per l’esterno. Acqua? Pure quella viene in una busta di plastica. Una volta finito potete buttare le buste al lato della strada o nella fogna all’aria aperta. A vostro gradimento.


La plastica sta soffocando questo paese, e purtroppo sta cominciando ad essere messa in secondo piano da qualcosa di ancora peggio: e-waste. Secondo un recente rapporto di Green Peace “poisoning the poor” il Ghana sta diventando la piu grande discarica di materiale tecnologico in fin di vita sul continente africano. Il traffico di rifiuti tecnologici è illegale: per legge il produttore deve prendersi cura del prodotto al termine della sua vita utile. In pratica viene tutto importato come prodotti di seconda mano, computer, cellulari, televisioni, etc. etc. buttato in immense discariche all’aria aperta, dove viene fatto a pezzi e bruciato nella speranza di riciclare qualche frammento di rame o di altri componenti.



Il Ghana vive in un pericoloso cocktail di vuoto legislativo ed ignoranza che rischia nel giro di pochi anni di trasformare un ambiente naturale incredibilmente ricco , ed una grande risorsa economica, in fumo.


Posso sbagliarmi, ma le immagini parlano chiaro. Come il sito della EPA è stato creato e poi dimenticato, lo stesso è probabilmente successo all’EPA, facendola diventare un altro di quegli enti volti più a risolvere il problema della disoccupazione che altro, senza nessuna ambizione se non di chiudere bottega alle 5 e fare il meno possibile nel frattempo.


C'é chi crede che la protezione ambientale sia un lusso che pochi si possano permettere. Sicuramente i locali, più per mancanza di fiducia nelle proprie istituzioni e possibilità, la pensano cosi. Sbagliato. Questa situazione é doppiamente dannosa: in senso diretto, danneggia l'ambiente e la salute degli abitanti, ed indirettamente, distrugge la possibilita di sviluppare un industria turistica.

Non é mia intenzione seguire il discorso con una lista delle solite corporazioni, organizzazioni criminali e politici che si arricchioscono dietro a sprechi simili. Non c'é forma di aiuto o pressione internazionale che possa combatterlo, solo l'indignazione della popolazione. Ghana svegliati, il mondo ti mangia in testa.

domenica 26 aprile 2009

Sbirri


Se vi sedete al posto del guidatore in un'automobile in corsa, e rifiutate di prendere in mano il volante, siete responsabili degli incidenti che provocherete?
E' quello che mi sono chiesto quando mi è capitato di recensire Sbirri, il film con Raoul Bova, diretto da Roberto Burchielli. La proiezione per la stampa era organizzata nella sede di Medusa Film di Roma. Di fronte alla reception, tre televisori muti passavano il Tg 4, Dragon Ball, e Beautiful. La
scomparsa della realtà.

La
Medusa Film, tanto per intenderci, è controllata dal gruppo Mediaset. L'attuale presidente, Carlo Rossella, ex-direttore del Tg 5, è uno di quelli che hanno le idee chiare: ex-comunista, poi filo-berlusconiano, ora potremmo ritrovarcelo a capo delle fiction Rai. Che danno fa Dragon Ball all'opinione pubblica di un Paese? Probabilmente non è un danno enorme, si tratta solo di un ragazzotto un po' vivace che spara palle infuocate. Ma osservare le tre reti Mediaset trasmettere all'unisono mi ha fatto immaginare per un istante tutte quelle immagini che avrebbero potuto attraversare lo schermo, ma sono state spodestate.

Per capire i danni provocati da un
monopolio mediatico, bisogna immaginare quello che perdiamo, non quello che vediamo. Quando guardate il Tg 4, non pensate a Emilio Fede: ma ad un giornalista serio, indipendente, preparato, che scrive cronaca sportiva in un giornale di provincia. Basta sedersi al posto del conducente, e impedire agli altri di guidare.

Arrivo al film: Sbirri non fa particolari danni, non c'è nessun messaggio satanico, nè inni neonazisti. Anzi, c'era pure un'idea buona, da qualche parte. Il problema è che se un film come questo occupa
gli spazi di mercato riservati al documentario, chi ci racconterà mai il resto della realtà?

Vi lascio alla mia recensione, pubblicata qui:



Trama.

Il noto giornalista d'assalto Matteo Gatti, sconvolto dalla morte per ecstasy del figlio sedicenne (Marco), si mimetizza nella squadra antidroga della polizia di Milano e realizza in incognito un reportage sul fenomeno degli stupefacenti.

Recensione.

Il silenzio è d'oro, ma in Sbirri ce n'è troppo poco. Si contano sulle dita di una mano, infatti, i momenti in cui possiamo riposare e prendere fiato. L'abbondanza di stimoli in questo caso, non è sinonimo di adrenalina, ritmo, suspense. E' piuttosto un eccesso, uno strafare continuo che finisce per soffocare chi guarda.

Partiamo dalla colonna sonora: il principale tema musicale del film è ripetuto decine e decine di volte. E se pure non è niente male al primo ascolto, perde sicuramente di interesse quando ne conosciamo a memoria ogni singolo passaggio. La macchina da presa non trova pace: ogni volta che due personaggi si stringono in un abbraccio, l'operatore sente la necessità di girare intorno a loro, con un effetto "Carramba che sorpresa!".

Matteo e Sveva raramente tacciono. Per esprimere il loro dolore, oltre a piangere, accasciarsi, gridare, commentano ad alta voce i propri sentimenti. Ad un certo punto lo fanno, ognuno per conto loro, seduti, guardando negli occhi gli spettatori: è forse il momento più stridente del film, che strizza l'occhio al confessionale del "Grande Fratello". Ma c'era bisogno di questi eccessi per raccontare una storia già di per sé molto toccante? L'immagine di una madre e di un padre che d'improvviso perdono il figlio cosa se ne fa di commenti patetici e musica a ripetizione? Non è già di per sé un pugno nello stomaco? Anche perché tutto il buono del film finisce stritolato.

Ed è un peccato, perché
Sbirri è un film con un'anima coraggiosa. Intanto perché fa qualcosa di innovativo all'interno del panorama cinematografico italiano: costruisce una storia di finzione attorno ad immagini documentaristiche. Le inquadrature notturne per le strade di Milano che vedono all'opera la polizia antidroga sono infatti prese dal vero. Spacciatori e compratori in carne e ossa, colti con le mani nel sacco, rispondono alle pressanti domande sul perché si sono invischiati nella droga ad una così giovane età.

Ed è sicuramente apprezzabile anche il coraggio e la dedizione di Raoul Bova, che si è esposto in prima persona come attore e produttore di questo progetto.
Ma l'esecuzione del film non rende giustizia all'idea, e si esce dalla visione di Sbirri con l'amaro in bocca per l'occasione perduta.

Valerio

giovedì 23 aprile 2009

Rassegna Stampa



Con questo post prende vita un altro piccolo esperimento di IndiMente, la rassegna stampa telematica, nella quale cercheremo di portare all'attenzione dei viandanti della rete articoli, post e commenti incontrati per la rete. Vogliate perdonarci l'iniziale approssimità del pezzo, nel tempo miglioreremo, magari con il vostro aiuto! Per segnalarci articoli o per collaborare con l'associazione o con il blog scrivete a indimente@gmail.com!


Iniziamo con un interessante articolo estratto dall'ultimo numero di Internazionale. Roberto Saviano e Misha Glenny, giornalista britannico che ha dedicato molto del suo lavoro allo studio delle criminalità organizzate, si sono di recente incontrati nella redazione della rivista per parlare delle loro esperienze e dei loro studi. Ne nasce una buona intervista che è qui sintetizzata.


Anche il governo Italiano pedissequamente segue la stampa estera. Ma per motivi di censura. Questo interessante blog, basandosi su un articolo di Le Monde, parla del difficile rapporto di Berlusconi con le critiche della stampa estera, e di come un politico attento (esclusivamente?) all'immagine si relazioni con le stilettate dei giornalisti internazionali.

Passando ad un post più tecnico, ma egualmente interessante, vogliamo sottolineare un blog che riporta una recente sentenza della Cassazione relativa alle società soggette ad indagini giudiziali. La suprema corte ha stabilito che i profitti di tali aziende dovranno essere bloccati al fine di tutelare eventuali azioni risarcitorie della parte lesa. E' una novità molto importante, sopratutto nei casi ormai ben noti di società fallite dolosamente facendo sparire il capitale o di vessazione di aziende nei confronti dei loro azionisti/clienti.

Un'altro articolo puramente internazionale, ma non per questo meno interessante è quello relativo alla vicenda di Evo Morales, presidente Boliviano, ed il tentativo di secessione di Santa Cruz, culminato in un fallito attentato nei confronti dello stesso Morales. Secondo il presidente Boliviano, dietro l'episodio, nel quale hanno perso la vita tre persone, si rileverebbe un complotto molto più esteso. L'articolo è in spagnolo ma facilmente comprensibile.

Lasciamo la conclusione ad un post informatico. Questo blog ci porta la notizia della prossima uscita di una nuova versione di Ubuntu, la Jaunty Jackalope, che migliorerà ancora la gestibilità della ormai celebre versione "friendly" di Linux. Una notizia importante perchè ultimamante una sempre più grande fetta di mercato si sta rivolgendo a questo prodotto open-source (leggi gratis, modificabile, sempre aggiornabile) allontanandosi dal mainstream Windows.

Alla prossima settimana!


giovedì 16 aprile 2009

FactorY


FactorY
Libro Primo
Gianluca Morozzi, Michele Petrucci
Fernandel, 160 pagine b/n, 12 €


Dalla quarta di copertina:

“Cinque persone si risvegliano all'interno di una fabbrica abbandonata e cadente. Non si sono mai visti. Non sanno chi li abbia rinchiusi lì dentro e perchè, e non hanno alcun ricordo di come ci sono finiti. La fabbrica è un labirinto senza via d'uscita, e dai suoi tetri corridoi arrivano suoni e voci di altri esseri umani....”.

FactorY è una serie a fumetti in tre volumi, attualmente arrivata al secondo, scritta da Gianluca Morozzi e disegnata da Michele Petrucci.
Le premesse descritte nella quarta di copertina non fanno pensare a nulla di particolarmente originale e ricordano un misto di serie popolari come Saw – l'enigmista o Lost. Eppure a giudizio di chi scrive, FactorY è uno dei fumetti più interessanti dell'ultimo anno.

Difficilmente una copertina riesce a sintetizzare così bene il contenuto di un libro.
Sullo sfondo bianco, una barattolo di succo di pomodoro, chiaro riferimento alla pop-art: FactorY è senza dubbio un fumetto pop. Il meccanismo del “cosa succede dopo?” tipico della narrativa di genere funziona alla perfezione e inchioda il lettore, lo costringe a leggere fino all'ultima pagina.

Dal barattolo cola un liquido rosso. Sangue piuttosto che sugo. Sul barattolo si legge la poco rassicurante scritta BRAIN, cervello: FactorY senza dubbio non è un fumetto leggero.
La violenza di alcune scene è ben lontano dal gore più becero di alcuni horror odierni, ma colpisce a fondo, ben al di là della superficie, visivamente e psicologicamente. Se si vuole indicare un riferimento cinematografico e televisivo per FactorY, questo è secondo me David Lynch. L'oppressiva inquietudine che si respira tra le pagine dell'opera di Morozzi e Petrucci ricorda molto da vicino quella di situazioni e personaggi lynchiani, anche se con una dimensione onirica meno marcata. Del resto sono i personaggi, le loro relazioni psicologiche e il loro passato ad essere protagonisti della storia, piuttosto che la vicenda nuda e cruda.

Morozzi, noto più come autore di narrativa, riesce a cavarsela piuttosto bene con un mezzo di espressione così peculiare e profondamente diverso dalla letteratura come il fumetto. Riesce a fare un buon lavoro ai dialoghi, ma soprattutto alle didascalie, con le quali vengono messi a nudo i pensieri dei personaggi, didascalie che integrano e completano, senza invaderli, gli ottimi disegni di Petrucci.

Più di mille parole, può essere interessante leggere il prologo alla serie, QUI, o le parole degli autori QUI.

Alessio

giovedì 9 aprile 2009

LA PARTE TRAGICA DELLA TRAGEDIA


L'Italia ha un originale senso del tragico. Nel senso più controverso della parola. A parlar di terremoti si dà grande spazio mediatico alla giustificatissima commozione, al dolore delle famiglie ed all'encomiabile generosità dei volontari che, da soli e non pagati, stanno continuando a tirar su macerie ed a recuperare persone dalle rovine delle loro case. E' tollerabile, data la grandezza dell'evento, anche una certa forma di voyeurismo viscerale che ha afflitto tutti i giornalisti televisivi, e che li spinge a cercare e riportare la sventura personale più televisiva di tutti. Ma dietro questo grande rumore, di palazzi che crollano, conduttori che strillano, bambini che piangono, giornalisti che corrono, c'è n'è un'altro molto più celato ma altrettanto solito a questo tipo di eventi: il rumore del denaro.

Nel 1980 un terremoto molto più forte di quello di tre notti fa devastò l'Irpinia, una zona di 17.000 km quadrati che si estende tra Basilicata, Campania e Puglia. 2735 morti, 8848 feriti, 70 comuni "disastrati". C'è chi in queste cifre legge dolore e distruzione, c'è chi ci trovò affari ed opportunità. La ricostruzione di quelle zone fu uno degli episodi forse più macabri della becera speculazione che si può fare sulla tragedia. Lo Stato stanziò negli anni circa 30 miliardi di euro, l'ultima tranche di 100 milioni addirittura nel 2006. Nonostante questo gettito continuo esistono tuttora quartieri o paesi, come Torre Annunziata, che non sono ancora stati ricostruiti. Dove sono finiti quei soldi? Appalti all'italiana. Granai che miracolosamente si convertono il piscine olimpioniche e contratti sottoscritti con imprenditori falliti e grandi festini in casa De Mita e Pomicino per l'incredibile apprezzamento di pacchetti azionari di alcune banche locali che opportunamente erano state scelte come "mediatori" ufficiosi per la redistribuzione del soldo pubblico.

Risultati: anni ed anni (per alcuni non ancora terminati!) di container per gli sfollati, e storie come quelle di MarcelloTorre, sindaco di Pagani, uno dei tanti paesi distrutti dal Terremoto, ucciso per essersi opposto ad una delle tante “infiltrazioni” camorristiche che insieme agli appalti guidati gestivano a proprio lucro i fondi per la ricostruzione. Le parole Irpiniagate, Mani sul terremoto, popolarono le pagine dei giornali per innumerevoli anni.

I misfatti campani del riciclo dell'imondizia, lo scandalo container durante il terremoto delle Umbrie e delle Marche, la "Missione Arcobaleno" in Kosovo. In Italia si riesce a far fare soldi sopra ogni disavventura.

Oggi in Abruzzo potrebbe accadere la stessa cosa.

Interi quartieri da costrurire sono un piatto troppo appetibile per gli avvoltoi dell'impresa facile. 100 progetti per 100 provincie è un disegno altisonante, mediaticamente perfetto, ma senza trasparenza e controlli si trasformerà nella solita pappatoia per pochi palati molto appetenti. I soldi che stanno per arrivare su quella zona dovrebbero essere controllati, indirizzati, e perchè no, gestiti dalle comunità locali, ascoltando le necessità degli sfortunati cittadini, e non assorbiti dalle cloache dell'imprenditoria selvaggia e della malavita organizzata.

Non si può permettere che una tragedia nazionale divenga una vergogna per il nostro Paese.

mercoledì 8 aprile 2009

I giochini di Mr Ponzi




Carlo Ponzi, successivamente Charles, nacque a Lugo nel 1882.
Nel 1903 il traghetto su cui viaggia attracca a New York. Ponzi aveva in tasca 2 dollari e mezzo, il resto dei suoi risparmi se lo era giocato a bordo.

Mr Ponzi è rimasto alla storia per ciò che nel mondo anglosassone chiamano "Ponzi Games" o "Ponzi Schemes". Frode finanziaria dal lui resa famosa ma non inventata.
Un "Ponzi Game" ripaga i primi investitori con i soldi dei successivi, creando una struttura piramidale di debiti la cui base si va allargando in maniera esponenziale fino ad un inevitabile crollo. Un'attività di questo tipo si limita a spostare soldi di tasca in tasca senza contribuire minimamente all'economia.
Per esempio: ad un investitore viene promesso un rendimento di x% l'anno. Per pagare tali interessi Mr Ponzi (o chi per lui) attira altri investitori con la stessa promessa, ed usa i loro soldo per pagare il primo. E' chiaro che per andare avanti il gioco cresce in maniera esponenziale: se per ripagare una persone ne servono due, per ripagarne due ne servono quattro, e così via.

Già sentito? ebbene si, quasi 90 anni dopo la confessione di Mr Ponzi, Mr Madoff li ha fregati esattamente nello stesso modo. Mr Madoff à solamente un prodotto della carta bianca che e' stata lasciata al mondo finanziario negli ultimi anni. Nessuno capisce bene come funziona, ma finchè i soldi entrano, meglio non fare domande. Una delle regole di Mr Madoff era: chi fa domande è fuori.

Michele

martedì 7 aprile 2009

Il blog si rinnova!

Amici e soci di IndiMente!

Il nostro blog si rinnova: ovunque voi siate, vi diamo appuntamento con articoli di attualità, economia, politica, cinema ed altro ancora.

Continueremo a informarvi sui nostri eventi, ovviamente. Ma vi daremo conto anche di ciò che ci capita tra le mani e ci sembra particolarmente interessante; magari perchè i quotidiani o gli organi di informazione non gli danno il giusto spazio. O semplicemente perchè è qualcosa che vale la pena condividere, per provocare qualche scarica elettrica tra i nostri neuroni.

Aspettiamo i vostri commenti e le vostre critiche, e se volete partecipare, l'email è sempre la stessa: indimente@gmail.com.

A tra poco!