mercoledì 30 settembre 2009

L'era del Moroz


La prima volta che ho letto il nome di Gianluca Morozzi è stato in un fumetto. E se devo essere onesto nemmeno l’avevo comprato per il suo nome in copertina, ma per quello dei due disegnatori che avevo apprezzato in passato: Camuncoli e Petrucci.
Quel volume (Il vangelo del coyote edito da Guanda) è stata una delle migliori letture fumettistiche di quell’anno.
Morozzi non è l’ennesimo scrittore prestato al fumetto solo perché va di moda il graphic novel, ma un appassionato lettore che conosce bene il mezzo.
Non è infatti un caso che il suo primo romanzo abbia come dedica "A Peter Parker, amico d’infanzia, maestro di vita".
Pur essendo in attività da pochi anni, oltre a fumetti, libri, copertine di Wired, Morozzi ha anche una sua biografia personale.
Dell’ingrato compito si è occupato Carmine Brancaccio, che ha scritto L’era del Moroz, prima biografia dello scrittore bolognese, pubblicata da Zikkurat Edizioni.
La prima cosa che salta agli occhi leggendo L’era del Moroz è che Brancaccio conosce bene il modo di scrivere di Morozzi e il tutto sembra quasi una autobiografia.
Un’ottima idea visto che rende la lettura molto scorrevole, cosa rara per questo genere di libro che tipicamente può risultare noioso e didascalico.
Il libro è diviso principalmente in due sezioni.
Nella prima, quella prettamente biografica, è ripercorsa la vita dello scrittore e il racconto è arricchito con aneddoti vari.
L’altra parte è dedicata ad interviste e colloqui veri o presunti. Abbiamo quindi dialoghi tra Brancaccio e Morozzi, ma anche una divertente, surreale e ovviamente inventata chiacchierata con David Lynch che scopriamo avere una mezza idea di trarre un film dal Vangelo del coyote.
A tutto questo vanno aggiunte due chicche che rendono il volume più appetibile.
Un racconto pubblicato su una antologia che poi ha portato alla nascita proprio del Vangelo del coyote ed un racconto inedito pubblicato qui per la prima volta.
Nulla di eclatante, sicuramente non il miglior Morozzi, ma comunque una lettura gradevole.
A concludere il volume troviamo recensioni tratte da vari giornali.
L’unica cosa che stona in un volume comunque apprezzabile e che si legge tutto d’un fiato, è l’inserimento di un racconto di Brancaccio che mi è sembrato un po’ forzato e che non c’entra nulla con il resto. Ma si tratta solo di tre pagine e quindi è un peccato veniale.
In definitiva L’era del Moroz è un libro che piacerà di sicuro a chi conosce già Morozzi e che aiuterà a conoscere meglio il personaggio e capire le sue tematiche.
Tutti gli altri vadano in libreria e prendano un volume a caso dell’autore bolognese.
Scopriranno una delle voci più originali della letteratura italiana.

Marco

venerdì 25 settembre 2009

MAGLIANA SFOLLATA



La scuola "8 Marzo", nel quartiere della Magliana, era un esempio di auto-organizzazione abitativa di un gruppo di famiglia che, per ragioni differenti, si sono trovate negli ultimi anni senza casa. Prima di essere risistemata e riqualificata dal comitato degli occupanti, la scuola "8 marzo" era un edificio abbandonato alla rovina ed al degrado, una "free-zone" pattugliata solo dalla polizia mortuaria, che periodicamente veniva a raccogliere i cadaveri di ragazzi morti per overdose.
Gli abitanti delle case vicine non si avvicinavano, i carabinieri non entravano, e così il degrado affliggeva sempre più un quartiere, storicamente popolare, non nuovo ad emergenze abitative.

Poi, qualche tempo fa, un comitato di famiglie, venute da varie terribili esperienze di sfratti, da precedenti occupazione, o più semplicemente dalla strada, hanno deciso di entrare in quel luogo e di farne, temporaneamente, la propria casa.
L'hanno fatto con la diffidenza iniziale degli abitanti limitrofi e con il silenzio arcigno delle istituzioni di quartiere. Condizioni ostili che però nel tempo si sono dissolte difronte all'incredibile risultato di quella comune di persone tanto disperate quanto creative e generose. In breve tempo dalle stanze abbandonate sono sorti piccoli appartamenti, i bagni sono stati ripuliti e fatti rifunzionare, i muri ridipinti, i magazzini risistemati, sono stati creati un teatro, una palestra, campi sportivi. La diffidenza degli abitanti si è trasformata in un apertura timida, poi in una partecipazione ed in una condivisione del dolore e della precarietà senza precedenti.

Un'esperienza in reltà non unica a Roma, dove tantissimi palazzi pubblici dismessi sono stati riadattati e riqualificati, a spese degli occupanti, in realtà abitative capaci di ospitare per mesi, per anni, famiglie la quale unica alternativa era la strada. Non si occupava case private, appartamenti di anziani defunti, ma semplicemente palazzi pubblici inutilizzati, che nel tempo sarebbero divenuti scheletri degradanti.

Ma tutto questo si scontra contro la politica abitativa del comune che, con questa e con la precedente amministrazione, ha mantenuto intatti le direttive base: solo case private.
Roma, lo si sa da sempre, è in mano ai palazzinari. L'esperienza dell'edilizia pubblica è marginale, irrilevante, recentemente inesistente. E' così e così deve rimanere.
La scuola "8 Marzo" è stata recentemente sgomberata. Le famiglie sono state cacciate, i mini appartamenti distrutti. Il Messaggero, giornale del costruttore romano Caltagirone, aveva da tempo iniziato una battaglia contro le presunte infiltrazioni criminali della zona. Campagne basate sul "si dice", su fonti indirette, mai confermate. Nessun giornalista della redazione è mai andato lì, mai intervistato le persone che in quella scuola avevano trovato un rifugio. Gli unici giornalisti che erano andati lì erano quelli di Report, nella puntata "Male Comune" che parlava appunto dell'emergenza abitativa romana.

La campagna martellante del Messaggero non si è fermata fino al 15 Settembre scorso, quando i Carabinieri, alle 4:30 del mattino sono entrati ed hanno chiuso tutto, scacciato le famiglie, distrutto il lavoro di anni. Ventuno occupanti sono stati arrestati con l'accusa di associazione a delinquere, gli arresti sono stati recentemente confermati. Il Messaggero ha recentemente scritto che bisognava pagare un pizzo di 150 euro per abitare lì dentro. Nessuna conferma dagli abitanti o dagli occupanti.

Un operazione di tale entità può provenire solo da un ordine esplicito del Campidoglio. Il sindaco Alemanno, nella ventata di novità che doveva portare, non ha incluso nel suo progetto l'edilizia pubblica. Pochi soldi, visto il lavoro già fatto, sarebbero stati spesi se il comune si fosse mosso per legittimare è stabilizzare quel lavoro già fatto, aprendo una nuova importante strada per la soluzione del problema abitativo.

Si è scelto la mano della legalità dura. Dei picconi. Della smobilitazione.
Chi vince è sempre Caltagirone, i palazzinari spietati, che incontrastati dalla mano pubblica sono l'unica, costosissima, salvezza per chi si è visto sfrattare dopo i mutui impazziti degli ultimi anni. E per chi non ce la fa a farsi accendere un mutuo, deve garantire con i lavori precari magari dei figli, o dei parenti, quando è possibile.

Altrimenti, senza case pubbliche e mutui sociali, restano gli argini del Tevere ed i
marciapiedi.

mercoledì 23 settembre 2009

IL FATTO QUOTIDIANO


Come molti, ma non tutti, sapranno, oggi avrà il battesimo dell'edicola il nuovo giornale di Antonio Padellaro "Il fatto quotidiano"

Lo vogliamo celebrare, ed augurare buona fortuna alla redazione, non tanto per la forza dei contenuti che vorra proporrà, che viste le firme ( Travaglio e Peter Gomes tra gli atri) possiamo ben prevedere, ma una volta tanto per la forma.

"Il fatto quotidiano" è un giornale che non avrà padroni, essendo nato come un idea di cooperativa tra piccoli soci, compresi gli stessi giornalisti, che hanno quote uguali e che possono godere di un autonomia redazionale sicuramente nuova nell'Italia delle rotative.

Non solo, "Il fatto quotidiano" è un giornale che non ha chiesto, ne chiederà, secondo statuto, finanziamenti allo Stato, ma sopravviverà solo se piacerà ai lettori, se riuscirà a stabilizzarsi in un mercato che è dominato dagli aiuti dei contribuenti.

Una strada nuova. Una strada della quale la nostra informazione aveva bisogno.

Buona fortuna, davvero...


lunedì 21 settembre 2009

VIA ALLO SGOMBERO DEL CASILINO 900

Riportiamo un articolo apparso oggi su PeaceReporter, relativo allo sgombero del campo nomadi del Casilino 900, il campo nomade più grande d'Italia.
In questo video, curato dall'agenzia AMI, si possono osservare le condizioni di vita di circa 800 persone e le tante contraddizioni e responsabilità che porteranno allo smantellamento di questa comunità.

"Alla fine la notizia è arrivata. La decisione che da trent'anni pendeva sulla testa del Casilino 900, il più grande campo rom d'Italia e forse d'Europa, è stata comunicata dall'Assessore Belviso e dal Prefetto Pecoraro. Il campo verrà chiuso, un mese per fare le valigie. Il capo della comunità bosniaca del Casilino, Najo Adzovic, spiega che la minaccia di chiudere il campo è sempre stata avanzata da tutte le amministrazioni, ma la certezza che sarebbe successo è arrivata con l'amministrazione Alemanno. Negli ultimi mesi le visite al campo da parte di enti comunali si erano moltiplicate: a fine giugno era stata rinforzata la rete idrica, poi la croce rossa e lo stesso Alemanno, accolto col sorriso dagli abitanti in un clima di festa. Sembra strano da capire, ma chi mi ha raccontato l'episodio dice che a loro importava solo che addirittura il sindaco di stava interessando di loro!problemi, ci preoccupa solo sapere come verranno ricollocati i nostri figli nelle scuole. Non bisogna dimenticare che duecentoventi bambini sono inseriti negli istituti del XII municipio. Il rapporto con maestre e compagni è consolidato. Un bambino abituato a un ambiente a un certo punto diventa nomade e deve ricominciare da capo. Bisogna capire se ci sarà la volontà e la possibilità di accettare i nostri figli in altre scuole”.

Najo vive nel campo da sempre, la maggior parte dei

Alessandra Quadri - Famiglia, Casilino 900

Foto di Alessandra Quadri: Famiglia, Casilino 900
bambini è nata e cresciuta qui. Ciononostante, dissolvere questa comunità non ha creato alcun problema: il fatto che molte case siano soltanto roulottes con qualche lamiera intorno ha autorizzato a pensare che chi vi abita sia un nomade, qualcuno per cui spostarsi è la normalità.
In ogni caso, i moduli per il censimento sono stati consegnati: bisogna riempirli con i dati relativi a ogni gruppo familiare. Numero, situazione giuridica, nazionalità e permesso di soggiorno: naturalmente tanti non ce l'hanno e bisogna capire che cosa comporta dichiararlo: l'espulsione? Ma i tempi sono stretti e la seconda fase crea problemi anche maggiori: entro il 21 ottobre la metà degli abitanti del campo dovrà sgomberare. Chi resterà, chi partirà e dove dovranno andare però non è stato detto: “La decisione è stata lasciata agli abitanti. Saranno sempre gli abitanti a indicare il campo dove intendono trasferirsi” e, continua Najo, “trovare posto non è facile perché non bisogna dimenticare che gli altri campi autorizzati, che non sono nuovi, contengono gia 7-800 persone. Metterne altre 400 in questa prima fase e i restanti entro il 2010 li fa diventare dei mega - accampamenti come questo. Ma almeno qui lo spazio c'é”. A quanto ne sa lui c'è “un piano di riqualificazione ma non conosciamo il suo contenuto. So solo che qui intorno ci sono più di cento depositi di sfasciacarrozze che veramente da un punto di vista ecologico fanno schifo. Invece di eliminare questa situazione smantellano il Casilino 900 e la sua comunità”.

Il campo sorge per buona parte sul suolo pubblico del Parco del Casilino e tutto fa pensare che vi verrà inglobato: anche i nuovi collegamenti idrici, tanto plauditi dai rom a giugno come regalo di Alemanno, sono in realtà progettate per diventare il futuro sistema di irrigazione del parco. Nel campo sono presenti quattro etnie: Kosovari, Macedoni. Bosniaci e Montenegrini. Saranno le prime due a lasciare il campo per prime per trasferirsi al campo di Via di Salone. L'amministrazione ha promesso di raddoppiare quel campo ma per ora sono state solo aumentate le misure di sicurezza. Najo sperava che fosse concesso alla sua comunità l'accesso alle case popolari: una nota del Comune ha però specificato che la possibilità non esiste. Najo però non dispera e mi racconta di quanta gente si interessi alla sua comunità: “Siamo in contatto con le università romane, con diversi architetti, professori, studenti, liberi cittadini che ci danno continuamente il loro appoggio. Soprattutto poi c'è Don Paolo, del pontificio seminario romano maggiore, che ormai è diventato un nostro punto di riferimento”.