venerdì 25 settembre 2009

MAGLIANA SFOLLATA



La scuola "8 Marzo", nel quartiere della Magliana, era un esempio di auto-organizzazione abitativa di un gruppo di famiglia che, per ragioni differenti, si sono trovate negli ultimi anni senza casa. Prima di essere risistemata e riqualificata dal comitato degli occupanti, la scuola "8 marzo" era un edificio abbandonato alla rovina ed al degrado, una "free-zone" pattugliata solo dalla polizia mortuaria, che periodicamente veniva a raccogliere i cadaveri di ragazzi morti per overdose.
Gli abitanti delle case vicine non si avvicinavano, i carabinieri non entravano, e così il degrado affliggeva sempre più un quartiere, storicamente popolare, non nuovo ad emergenze abitative.

Poi, qualche tempo fa, un comitato di famiglie, venute da varie terribili esperienze di sfratti, da precedenti occupazione, o più semplicemente dalla strada, hanno deciso di entrare in quel luogo e di farne, temporaneamente, la propria casa.
L'hanno fatto con la diffidenza iniziale degli abitanti limitrofi e con il silenzio arcigno delle istituzioni di quartiere. Condizioni ostili che però nel tempo si sono dissolte difronte all'incredibile risultato di quella comune di persone tanto disperate quanto creative e generose. In breve tempo dalle stanze abbandonate sono sorti piccoli appartamenti, i bagni sono stati ripuliti e fatti rifunzionare, i muri ridipinti, i magazzini risistemati, sono stati creati un teatro, una palestra, campi sportivi. La diffidenza degli abitanti si è trasformata in un apertura timida, poi in una partecipazione ed in una condivisione del dolore e della precarietà senza precedenti.

Un'esperienza in reltà non unica a Roma, dove tantissimi palazzi pubblici dismessi sono stati riadattati e riqualificati, a spese degli occupanti, in realtà abitative capaci di ospitare per mesi, per anni, famiglie la quale unica alternativa era la strada. Non si occupava case private, appartamenti di anziani defunti, ma semplicemente palazzi pubblici inutilizzati, che nel tempo sarebbero divenuti scheletri degradanti.

Ma tutto questo si scontra contro la politica abitativa del comune che, con questa e con la precedente amministrazione, ha mantenuto intatti le direttive base: solo case private.
Roma, lo si sa da sempre, è in mano ai palazzinari. L'esperienza dell'edilizia pubblica è marginale, irrilevante, recentemente inesistente. E' così e così deve rimanere.
La scuola "8 Marzo" è stata recentemente sgomberata. Le famiglie sono state cacciate, i mini appartamenti distrutti. Il Messaggero, giornale del costruttore romano Caltagirone, aveva da tempo iniziato una battaglia contro le presunte infiltrazioni criminali della zona. Campagne basate sul "si dice", su fonti indirette, mai confermate. Nessun giornalista della redazione è mai andato lì, mai intervistato le persone che in quella scuola avevano trovato un rifugio. Gli unici giornalisti che erano andati lì erano quelli di Report, nella puntata "Male Comune" che parlava appunto dell'emergenza abitativa romana.

La campagna martellante del Messaggero non si è fermata fino al 15 Settembre scorso, quando i Carabinieri, alle 4:30 del mattino sono entrati ed hanno chiuso tutto, scacciato le famiglie, distrutto il lavoro di anni. Ventuno occupanti sono stati arrestati con l'accusa di associazione a delinquere, gli arresti sono stati recentemente confermati. Il Messaggero ha recentemente scritto che bisognava pagare un pizzo di 150 euro per abitare lì dentro. Nessuna conferma dagli abitanti o dagli occupanti.

Un operazione di tale entità può provenire solo da un ordine esplicito del Campidoglio. Il sindaco Alemanno, nella ventata di novità che doveva portare, non ha incluso nel suo progetto l'edilizia pubblica. Pochi soldi, visto il lavoro già fatto, sarebbero stati spesi se il comune si fosse mosso per legittimare è stabilizzare quel lavoro già fatto, aprendo una nuova importante strada per la soluzione del problema abitativo.

Si è scelto la mano della legalità dura. Dei picconi. Della smobilitazione.
Chi vince è sempre Caltagirone, i palazzinari spietati, che incontrastati dalla mano pubblica sono l'unica, costosissima, salvezza per chi si è visto sfrattare dopo i mutui impazziti degli ultimi anni. E per chi non ce la fa a farsi accendere un mutuo, deve garantire con i lavori precari magari dei figli, o dei parenti, quando è possibile.

Altrimenti, senza case pubbliche e mutui sociali, restano gli argini del Tevere ed i
marciapiedi.

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