giovedì 9 aprile 2009

LA PARTE TRAGICA DELLA TRAGEDIA


L'Italia ha un originale senso del tragico. Nel senso più controverso della parola. A parlar di terremoti si dà grande spazio mediatico alla giustificatissima commozione, al dolore delle famiglie ed all'encomiabile generosità dei volontari che, da soli e non pagati, stanno continuando a tirar su macerie ed a recuperare persone dalle rovine delle loro case. E' tollerabile, data la grandezza dell'evento, anche una certa forma di voyeurismo viscerale che ha afflitto tutti i giornalisti televisivi, e che li spinge a cercare e riportare la sventura personale più televisiva di tutti. Ma dietro questo grande rumore, di palazzi che crollano, conduttori che strillano, bambini che piangono, giornalisti che corrono, c'è n'è un'altro molto più celato ma altrettanto solito a questo tipo di eventi: il rumore del denaro.

Nel 1980 un terremoto molto più forte di quello di tre notti fa devastò l'Irpinia, una zona di 17.000 km quadrati che si estende tra Basilicata, Campania e Puglia. 2735 morti, 8848 feriti, 70 comuni "disastrati". C'è chi in queste cifre legge dolore e distruzione, c'è chi ci trovò affari ed opportunità. La ricostruzione di quelle zone fu uno degli episodi forse più macabri della becera speculazione che si può fare sulla tragedia. Lo Stato stanziò negli anni circa 30 miliardi di euro, l'ultima tranche di 100 milioni addirittura nel 2006. Nonostante questo gettito continuo esistono tuttora quartieri o paesi, come Torre Annunziata, che non sono ancora stati ricostruiti. Dove sono finiti quei soldi? Appalti all'italiana. Granai che miracolosamente si convertono il piscine olimpioniche e contratti sottoscritti con imprenditori falliti e grandi festini in casa De Mita e Pomicino per l'incredibile apprezzamento di pacchetti azionari di alcune banche locali che opportunamente erano state scelte come "mediatori" ufficiosi per la redistribuzione del soldo pubblico.

Risultati: anni ed anni (per alcuni non ancora terminati!) di container per gli sfollati, e storie come quelle di MarcelloTorre, sindaco di Pagani, uno dei tanti paesi distrutti dal Terremoto, ucciso per essersi opposto ad una delle tante “infiltrazioni” camorristiche che insieme agli appalti guidati gestivano a proprio lucro i fondi per la ricostruzione. Le parole Irpiniagate, Mani sul terremoto, popolarono le pagine dei giornali per innumerevoli anni.

I misfatti campani del riciclo dell'imondizia, lo scandalo container durante il terremoto delle Umbrie e delle Marche, la "Missione Arcobaleno" in Kosovo. In Italia si riesce a far fare soldi sopra ogni disavventura.

Oggi in Abruzzo potrebbe accadere la stessa cosa.

Interi quartieri da costrurire sono un piatto troppo appetibile per gli avvoltoi dell'impresa facile. 100 progetti per 100 provincie è un disegno altisonante, mediaticamente perfetto, ma senza trasparenza e controlli si trasformerà nella solita pappatoia per pochi palati molto appetenti. I soldi che stanno per arrivare su quella zona dovrebbero essere controllati, indirizzati, e perchè no, gestiti dalle comunità locali, ascoltando le necessità degli sfortunati cittadini, e non assorbiti dalle cloache dell'imprenditoria selvaggia e della malavita organizzata.

Non si può permettere che una tragedia nazionale divenga una vergogna per il nostro Paese.

Nessun commento:

Posta un commento