venerdì 5 giugno 2009

Breve introduzione ad uno studio: Bob Dylan e il Black English


Ospitiamo con piacere un post diverso dai precedenti, a cura di un nuovo collaboratore del blog. Si tratta dell'introduzione ad uno studio, ed ha quindi con un taglio meno giornalistico e più saggistico. Resta inoltre aperto ad una continuazione futura, con le successive "puntate". Buona lettura!

Nei giorni scorsi mi sono dedicato alla lettura di un saggio d'impronta storico-linguistica, “Il Black English”, scritto da Sara Antonelli e contenuto nel libro La babele americana. Lingue e identità negli Stati Uniti d'oggi. La mia intenzione in questo post è quella di definire in poche righe un “oggetto” d'interesse. Esso riguarda il (presunto ma verificabile) legame che intercorre tra il Black English e la scrittura di Bob Dylan. Certo è necessario spendere qualche parola per definire il territorio proiettivo (e la sua ampiezza) del Black English, ossia capire di cosa si tratta.

Il Black English non è l'Inglese parlato dai neri tout court, non è una lingua vernacolare “minore” (per intenderci un dialetto) tanto meno un idioletto, non è una variante dell'Inglese ufficiale nato nei ghetti neri odierni. Sara Antonelli disvela la paradossale e, proprio per questo, pericolosa misconoscenza che circonda (anche attraverso i suoi baluardi della linguistica, della letteratura, della politica) la realtà complessa del Black English. Esso si potrebbe definire come il luogo totale (nel senso che non può essere circoscritto per categorie esclusive) e fondamentale in cui si è definita, si definisce e si continuerà a definire la posizione delle forze in campo nel conflitto identitario psico-sociale degli Stati Uniti d'America. Come detto non è possibile spingersi troppo oltre in un ulteriore verifica argomentata di questa precisa posizione, né è possibile discutere in questa sede delle convergenze all'origine del Black English. Naturalmente bisogna chiarire il fatto che ad un puro livello tassonomico gli Stati Uniti d'America presentano molte e diverse realtà linguistiche (nonostante non sia questa l'impressione e l'immagine con la quale siamo abituati a confrontarci), ma nella maggior parte dei casi sono solo variazioni dell'Inglese ufficiale, variazioni “locali”, spiegabili anche alla luce della vastità del territorio.

Il Black English, invece, paradossalmente riguarda gli U.S.A. ad un livello plurimo e indispensabile: come giustamente afferma James Baldwin, uno dei maggiori scrittori e pensatori dell'America contemporanea “dunque io non so proprio come parlerebbero gli americani se negli U.S.A. non ci fossero mai stati i neri, ma di certo non parlerebbero come parlano adesso” (Baldwin 1979).

Come parlerebbe Bob Dylan dato che il Black English costituisce un'evidenza della sua scrittura (che vale non meno di quella di Baldwin che è nero – ma questa posizione andrebbe chiarita) e un serbatoio per il suo immaginario? È possibile isolare o sostituire con equivalenti linguistici (standard) le tracce della presenza del Black English nella scrittura di Bob Dylan? O forse essi assumono una certa significazione soltanto nella relazione con elementi linguistici e/o topici altri? Come, a voler semplificare, funziona il Black English (la sua tradizione) all'interno dell'opera di uno dei massimi cantautori americani contemporanei? Come agisce quest'ultimo, se lo fa, su quel sistema (aperto/chiuso) che è il Black English? Non dimentichiamo che Bob Dylan, soprattutto nel suo secondo decennio d'attività (1966-1976) prima dei concerti si truccava spesso con il cerone, e questo è testimoniato anche da alcune foto (cfr. quelle presenti nel "Diario del Rolling Thunder" di Sam Shepard, tradotto dalla stessa Sara Antonelli in una rinnovata edizione del 2005); con questo voglio dire che è possibile tentare di avvicinare il travestimento di Dylan al travestimento del minstrel show - uno spettacolo comico sviluppatosi nell'America schiavista interpretato da attori bianchi che interpretavano dei neri truccandosi con il nerofumo - e conseguentemente a quello dei neri che imitavano gli attori bianchi del minstrel show riproducendo, ribaltandola, la “forma” discriminatoria della loro performance.

È chiaro che il linguaggio (come sistema in divenire e anzi proprio in virtù di ciò) costituisce il mezzo, il luogo e il momento privilegiato nell'accesso alle forme di potere, nella (auto)determinazione sociale dell'individuo e/o di gruppi di individui e nella definizione degli “oggetti” all'interno dello spazio pubblico. È attraverso il linguaggio (esattamente attraverso un discorso portato sul linguaggio) che il minstrel show, tenta di definire (psichicamente) lo statuto del Corpo bianco attraverso la messa in scena (spettacolare) del Corpo nero, attraverso la collocazione di entrambi i corpi all'interno di una gerarchia bio-culturale. Un discorso sul Black English è ciò che il minstrel show porta avanti in forma di brevi sketch.

Simone

1 commento:

Anonimo ha detto...

tua sorella

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