mercoledì 29 luglio 2009

La sicurezza e le parole

Da qualche giorno i cittadini italiani hanno il loro “pacchetto sicurezza”. Nella pagina web del Senato ci sono tutte le informazioni del caso. Il nome ufficiale del decreto legge è "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica", e già da qui bisogna iniziare a ragionare. La scelta delle parole non è mai neutra: le questioni fondamentali che riguardano la vita quotidiana dei migranti vengono determinate all'interno di un decreto che si occupa della sicurezza dei cittadini. Come se, necessariamente, questi uomini, donne e bambini rappresentassero una minaccia per la sicurezza del Paese.

Oltre alle questioni dell'immigrazione, nel decreto si affrontano cose come "Assegnazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali mafiose" e "Contrasto nell'impiego dei minori nell'accattonaggio". Per capirci, è come se cercando la ricetta della carbonara, andassimo a finire tra gli effetti collaterali del cortisone. Ci verrebbe qualche dubbio sulla bontà del piatto romano, non credete?

Quindi anche senza stare a guardare i contenuti, già il modo in cui il governo ha presentato il decreto legge la dice lunga. Si prende un gruppo di persone, identificate in base ad una caratteristica
arbitraria (non appartenenza alla nazionalità italiana) e lo si associa alle problematiche della sicurezza. E' una semplificazione che, se viene da un cittadino qualsiasi, è già discutibile; se proviene invece dalle istituzioni, è allarmante.

Si pensi ad uno dei passaggi più pubblicizzati del decreto: l'introduzione del cosiddetto “reato di clandestinità”. Questo è un brano tratto da un articolo di Gad Lerner, reperibile qui:

Nella loro grande maggioranza gli stranieri irregolari presenti sul territorio italiano sono persone entrate senza violare la legge. Arrivate col treno e con l’aereo, mostrando il passaporto, mica sui gommoni o nascoste nel rimorchio dei Tir. Lo so perché in quella situazione mi ritrovai più di una volta anch’io, da apolide, quando mi scadeva il permesso di soggiorno e le tortuosità burocratiche mi impedivano di rinnovarlo in tempo. Ricadevo nell’irregolarità, insieme a molte altre persone che cercavano di farsi riconoscere il diritto al soggiorno, sbattendo su ostacoli spesso insormontabili. Dunque se l’Italia è il paese europeo con la più alta percentuale di “clandestini” (come li chiama la propaganda di regime per renderveli odiosi), ciò non deriva dal fatto che ha le frontiere “colabrodo” molto più degli altri. La geografia conta, ma conta molto di più il fatto che gli altri paesi europei hanno un’economia solo in minima parte sommersa; e di conseguenza le loro legislazioni incentivano l’inquadramento regolare degli stranieri. Dopo di che, giustamente, sono molto severi con quelli che non usufruiscono di tale possibilità perché vogliono vivere ai margini della legge.”

La parola “clandestino” vuol dire letteralmente “segreto, occulto, nascosto alla luce del giorno”. Come avevamo raccontato in una rassegna stampa di qualche mese fa, non tutti utilizzano questa parola. Per fortuna un gruppo di professionisti dell'informazione chiamato “Giornalisti contro il razzismo” ha deciso di metterla al bando.

Nel glossario da loro stilato si legge: “Questo termine, molto usato dai media italiani, ha un'accezione fortemente negativa. Evoca segretezza, vite condotte nell'ombra, legami con la criminalità. Viene correntemente utilizzato per indicare persone straniere che per varie ragioni non sono in regola, in tutto o in parte, con le norme nazionali sui permessi di soggiorno, per quanto vivano alla luce del sole, lavorino, conducano esistenze "normali".”

Esistono, infatti, numerose alternative: “All'estero si parla di "sans papiers" (Francia), "non-documented migrant workers" (definizione suggerita dalle Nazioni Unite) e così via. A seconda dei casi, e avendo cura che l'utilizzo sia il più appropriato, è possibile usare parole come "irregolari", "rifugiati", "richiedenti asilo". Sono sempre disponibili e spesso preferibili le parole più semplici e più neutre: "persone", "migranti", "lavoratori". Altre locuzioni come "senza documenti", o "senza carte", o "sans papiers" definiscono un'infrazione amministrativa ed evitano di suscitare immagini negative e stigmatizzanti.”

Le leggi promulgate dal Parlamento italiano determinano la qualità della vita di milioni di persone. Le rappresentazioni della società costruite dai mezzi di comunicazione di massa influenzano in maniera fondamentale la percezione che i cittadini hanno della società stessa. Le parole che usate in Parlamento e nei media hanno un peso incalcolabile: possiamo e dobbiamo esigere da chi ci governa e da chi ci informa di non adeguarsi al rumore generale.

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